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CLOROBERTO E GIROLAMO
È passato non molto tempo da quando trovai nella soffitta del palazzo in cui abitava Luigia (la cugina della zia della nonna di mia sorella Domenica, il quale nome fa un po' ridere, in effetti, anche perché era nata di lunedì e quindi con la domenica non c'entrava niente), questo antico manoscritto dal nome "Storie brevi che finiscono con morti brevi ma non troppo". Aprii il libro e lessi la storia che vi sto per narrare.
In principio c'era un ragazzo, si chiamava Cloroberto, ed aveva un neo vicino al naso così nero, ma così nero, ma così nero che assorbiva tutta la luce che gli passava vicino, proprio come un buco nero, ma più piccolo e con un paio di peli nel centro.
Un giorno Cloroberto decise di prendere la bicicletta e di fare un giro in mezzo ai campi della provincia in cui abitava. Pedalò, pedalò e pedalò fino a che ad un certo punto, incontrò sul suo percorso un bambino. Girolamo si chiamava. Cloroberto provava un odio profondo (e anche ricambiato) verso Girolamo. Nonostante ci fossero poco più di 11 anni di differenza tra Cloroberto e Girolamo, il nostro uomo aveva un sacco di paura ad incrociarlo per strada perché quel bambino era proprio fastidioso come un sassolino appuntito dentro una scarpa che punzecchia il tallone quando si cammina. Fattosta che quando si incrociarono, Girolamo approcciò Cloroberto con un sonoro: "Hey, buco nero!!".
Quell'offesa fu proprio la goccia che fece traboccare il vaso: Cloroberto si incazzò tantissimo, più di un ghepardo selvatico il cui sedere era stato spruzzato con dello spray urticante al peperoncino. Decise allora di frenare e di scendere dalla bici per sistemare questa faccenda con calma e sangue freddo. Si girò e camminando verso Girolamo cominciò a prenderlo a sberle in faccia superforte, ma così tanto superforte (e anche super-a-lungo perché rimase due giorni e due notti a picchiarlo a sangue), che la faccia di Girolamo perse i connotati e diventò più somigliante al muso di un leone marino che a quella di un uomo.
Quando Cloroberto si rese conto di ciò che aveva fatto a Girolamo, decise che quella era stata una punizione più che giusta, e per infierire, decise di togliere le scarpe al corpo senza oramai più vita, le legò insieme e le lanciò nel campo di granturco vicino a dove si trovava, schernendolo intonando un potentissimo "ahah!".
ARTEMISIO, CALOGERO E LA MONETINA ASSASSINA
In un piccolo paesino che poi tanto piccolo non era, perché aveva un milione e duecentomila e trentotto abitanti, un milione e duecentomila e trentanove se contiamo anche la signora Rosa che però, poveretta, era giunta alla fine dei suoi giorni ed era più di là che di qua, pover'anima, c'erano due ragazzi. Artemisio e Calogero erano due baldi giovani che provavano l'uno per l'altro un sentimento così forte, ma così forte, ma così forte, che l'unica cosa più forte di quel sentimento era un carro armato Abrams che spara mitragliatrici che sparano proiettili di fuoco che fanno molto ma molto male.
Fattostà, che questi due baldi giovini erano proprio visti male dalla popolazione di questo piccolo-ma-non-troppo paesino, proprio per l'amore che scorreva nelle loro vene, che gli faceva battere forte il cuore, e li faceva venire le farfalle nello stomaco.
Un giorno, Artemisio e Calogero stavano passeggiando in pieno centro del loro paesino e mentre erano così presi dal cuore che batteva, dal sangue che scorreva e dalle farfalle che svolazzavano nelle loro interiora, Artemisio noto l'importante quantità di 2€ sul marciapiede ed esclamò: " Acciderbolina! Ma quale fortuna è mai questa? Trovare due euro è sempre una grandissima gioia!".
Purtroppo nel raccogliere la monetina inciampò sui lacci delle sue scarpe e con un rumorosissimo quanto dolorosissimo tonfo, cadde sulla rotaia del tram che passò proprio in quel momento, tagliandolo a metà. Potete bene immaginare la reazione di Calogero, che rimase impietrito a guardare il cadavere, tagliato a fette come un salmone per il nigiri.
Calogero non riuscì a sopportare lo stress provocato dalla perdita di Artemisio, e si impiccò (per 5 volte consecutive, perché nessuno gli aveva mai spiegato come fare un cappio che nel non si sciogliesse. Ma al quinto tentativo Calogero riuscì ad impiccarsi con successo, ma poiché viveva ancora con la madre, che non era mica scema, e la signora aveva capito che Calogero aveva tendenze al suicidio, lo teneva sempre d'occhio, e appena si impiccò, lo portò in ospedale, dove lo salvarono. Calogero però riportò dei danni alla colonna vertebrale e rimase paralizzato per il resto della sua vita).
PASQUALE E LA RANA
Pasquale era un simpaticone che amava fare lunghi giri a bordo della sua bici, nella prossimità della campagna di Ferrara. Un bel giorno, nel mezzo di un bel giro in bici su un bellissimo sentiero sterrato, forò la ruota anteriore. Sul momento si arrabbiò parecchio, e proferì numerose oscenità nei confronti di tutti i parenti dei sassi appuntiti presenti su quel sentiero, fino alla loro terza generazione di sassolini piccini piccini. Quando rinsavì dal suo momento di ira funesta, decise di prendere la situazione come doveva essere presa: con calma e buonsenso.
Scese dalla bici, si chinò per prendere l’astuccio blu contenente i vari attrezzi per riparare la ruota e si accorse che l’aveva lasciato a casa. Lì per lì prese a calci la bicicletta: sbem! E la fece cadere a terra, sbem! E le piegò i raggi della ruota, sbem! E le fece saltare la catena.
Andò avanti così per un venti minuti buoni, fino a quando, di calcio in calcio, e di pezzo rotto in pezzo rotto, non sbollì la sua rabbia e si rese conto che era a 60Km buoni di distanza da casa sua e l’unica corriera che passava da quelle parti non sarebbe passata prima di due giorni: infatti, è risaputo che a Ferrara i giorni prefestivi e festivi sono causa di enormi disagi: qualunque attività cessa di funzionare, le persone smettono di respirare, il vento di soffiare, le formiche di camminare e le corriere, senza eccezione, rimangono ferme in stazione.
Pasquale decise che la mossa più saggia in attesa della prima corriera sarebbe stata la raccolta di parte dei pezzi della bicicletta, ormai più simile ad un monociclo, andato contromano in autostrada, ma non un'autostrada qualsiasi, bensì le famose autostrade ferraresi in cui circolano esclusivamente camion di grossa cilindrata, e reduce da una serie di incidenti piuttosto violenti.
Si chinò per prendere la ruota posteriore, il telaio ed il manubrio quando ad un certo punto i suoi occhi incrociarono una rana.
Pasquale si bloccò qualche secondo. La rana non si mosse. Pasquale allungò un dito verso i suoi occhi. La rana non si mosse. Allungò il palmo della mano cercando di prenderla. La rana non si mosse. La prese in mano e cominciò a parlare: “oh rana, almeno te mi farai un po' di compagnia con il tuo dolce gracidare”. La rana non si mosse.
In quel momento Pasquale si ricordò la storia dei giorni festivi e prefestivi, e capì che oramai era l’unico essere vivente nel raggio di 20Km che poteva ancora muoversi e parlare.
In preda alla solitudine e alla disperazione, cominciò a piangere, e a piangere, e a piangere, e dei lacrimoni giganteschi scendevano dalla coda dei suoi occhi arrivando fino al mento, che oramai cominciava ad essere ispido per la ricrescita della sua barba perennemente accuratamente rasata.
Decise di sedersi a bordo strada, su una pietra miliare, con la rana in mano, che anche se non di molta compagnia, almeno aveva due occhi da guardare mentre parlava delle sue disgrazie. E parlò, quanto parlò! Cominciò a raccontare le sue disgrazie da quando aveva ricordo, come di quella volta che si trovava allo zoo a vedere le giraffe e avvicinandosi troppo al recinto una giraffa lo prese con la bocca e lo alzò in alto, in alto, sempre più in alto, e cercò di mangiarlo. Si ricordò le urla di suo padre, i pianti di sua madre, uno sparo, la giraffa che cadeva sotto il suo stesso peso e la sua caduta su un cumulo di foglie secche.
Pasquale si ricordò anche di quella volta in cui era a scuola, e decise di scambiare le mine delle penne del suo compagno di banco. Venne scoperto e poiché dalle parti di Ferrara non si scherza con l’inchiostro, venne sospeso e il suo voto in condotta fu basso, ma così basso che a fatica passò l’anno.
Oh quante storie gli riaffioravano alla mente stando seduto su quella pietra. E la rana era lì, immobile, come rapita dai racconti di Pasquale. In verità invece era solo immobilizzata però a Pasquale andava bene così.
Si era fatta sera, cominciava a fare freddo, e Pasquale si accoccolò su un cumulo di erbacce che aveva strappato poco prima a bordo strada.
Quando si svegliò il giorno dopo era tutto spettinato, aveva le occhiaie, i piedi gli facevano male per i calci che aveva tirato alla bicicletta e nel sonno, rigirandosi, aveva spiaccicato la rana.
Solo, in mezzo al nulla della campagna ferrarese, decise di farsi forza e cominciò a cercare una pozza d'acqua per darsi una sciacquata al viso, e svegliarsi un po', vista la mancanza del caffè. Girò in tondo per qualche oretta, quando finalmente trovò una fontanella ed una vecchia casa con una torta sul davanzale, che era stata messa lì a raffreddare il venerdì sera. Decise di mangiarne un pezzo: non si sentiva molto a suo agio a fare una cosa del genere in quanto Pasquale era un uomo onesto, e non aveva mai rubato nulla. Ragionò un attimo e pensò che forse, chiunque aveva fatto quella torta avrebbe poi capito le sue condizioni e l’avrebbe perdonato.
Alla fine si sarebbe preso solo una fetta.
La torta era proprio buona e la finì in un batter d’occhio. Si rese conto del grosso errore che aveva commesso e si allontanò da quella casa il più velocemente possibile.
Guardò il suo orologio, e si rese conto che era già mezzogiorno. Altre poche ore e avrebbe potuto andarsene da quella provincia, triste, grigia, fredda e desolata.
Passò quelle ore andando in cerca di merli ferraresi, dei rarissimi esemplari di merli che si cibavano soltanto degli avanzi dei cappelletti, famosa specialità ferrarese.
Inutile dire che non ne trovò neanche uno.
Rattristato da questo episodio, decise di passare la sua ultima serata dormendo in modo da svegliarsi presto di mattina e prendere la corriera delle 5:30.
La strada, di ciottoli, era deserta e buia, fino a quando non arrivò la tanto desiderata corriera. Pasquale vide i fari in lontananza illuminare il ciottolato, e sentì gli pneumatici schiacciare i sassi. La corriera si fermò di fronte a lui, lo fece salire e Pasquale, oramai esausto, si sedette sul primo sedile che trovò a disposizione.
BUM
L’autobus frenò, il conducente scese, imprecando e lanciando oscenità nei confronti di tutti i parenti dei sassi appuntiti presenti su quel sentiero, fino alla loro terza generazione di sassolini piccini piccini.